“Sono nella pioggia
che scivola sul parabrezza,
nella canzone che sta passando alla radio,
nelle tue labbra che sorridono quando pensano a noi.
Non può piovere per sempre.
Sto aspettando torni il sole…”
Lievi, dolci parole, appena sussurrate,
quasi a volerle imprimere nel vetro un po’ appannato,
le lasciò scivolare via,
così
leggere,
veloci…
Quella certa ragazza ormai,
non considerava nemmeno più il mondo attorno a lei,
non cercava più nessuna cosa,
alcuna risposta
fissava la vita di quella fredda mattina d’autunno scivolarle a fianco,
con lo stesso distacco con cui si guardano le foglie dagl’aceri
cadere in autunno,
così, come se fosse un niente, la vita.
Incuranti, a guardare il miracolo,
disinteressati davanti al ciclo naturale delle cose,
piccole foglie che lasciano la “Madre”
per ritornare ad Essere qualcos’altro… nel tutto, nell’insieme degli eventi.
La morte, che porta con sé, sempre, una rinascita.
Aveva il viso appoggiato al freddo finestrino
di quell’automobile diretta verso l’aeroporto,
che sfrecciava veloce attraverso i campi coltivati,
di quella infinita pianura.
L’ennesimo viaggio.
L’ennesima partenza.
Un altro distacco.
“Il problema ormai, è trovare la definizione esatta.”
Questa era stata la sua unica frase durante tutta la cena della sera prima.
Lui sapeva a cosa si riferiva.
In un certo qual modo la si poteva capire,
non è mai bello nella vita, non conoscere, dentro,
non capire qual è il nostro posto nel mondo
non sapere più ormai, se si sta partendo o tornando.
In lui un’immagine fissa, arrivata alla mente dai meandri di una notte
passata a riflettere, a cercare di trovare un modo per risolvere,
per riordinare
un ingarbugliato intreccio di confusione e rabbia…
un immagine fissa di lei:
una luna ormai persa nei labirinti infiniti di un cielo buio,
che non riesce più ad incontrare il suo sole,
per regalarsi quell’istante di infinita estasi,
l’eclissi,
l’unione di due corpi che insieme generano una forza talmente forte
da velare la terra, avvolgendola nel buio, nel mistero
nella magia.
Un abbraccio infinito che riesce a
toglie la luce al mondo reale.
“dimentichi una cosa”
...
Disse lui a voce ferma,
deciso
fissava la strada e non si scompose
ma iniziò a leggere dentro di se quelle parole che da sempre
erano incise nel suo cuore e che se ne restavano lì, ferme,
in attesa di quel momento
in attesa,
che anche quella pagina prendesse forma
“sei anche nella bellezza di quel fiore,
di quel bel fiore di oleandro...
rosa, fresco, vivo…
fiorito su quel dirupo, tra la terra e il niente...
aggrappato alla sua roccia,
baciato dal sole,
accarezzato dalla brezza,
che ti riporta ogni giorno il profumo del mare
e te ne rimani lì,
a bere la pioggia,
a considerare le stelle,
ad apprendere l’alternarsi delle maree
…
io invece, me ne sto qui e ti osservo
dal basso di questa terrazza, di questa casa,
affacciata sul mare,
sul nostro oceanomare,
che ci osserva e ci guida,
consigliandoci sempre le cose giuste
…
potrei risalire gli scogli
e venire a coglierti
ma tu lo sai che non lo farei mai,
io ti osservo
bellissima e pura
mentre fortifichi le tue radici
…
e se un giorno sentirai
che è giunto il momento di lasciare la roccia
ti lascerai cadere
giù, libera
nell’infinito vortice
dove si incontra il tutto …
terra, calore, buio
aria, stelle, sole
istanti, rimpianti, parole
carezze, lacrime, sudore, spasmi…
sfiderai l’abisso, per sfiorare il tutto
…
il vento deciderà per te,
perché tu, senti il vento
e di lui, ti sei fidata
e se ti condurrà su quel terrazzo,
quel terrazzo sarà la tua borderline
tra la vita e l’incanto
tra cielo e mare
catturata da quest’effimera e splendida realtà,
schiava ormai del sogno da cui prende origine
…
non avere mai nessun dubbio,
io sarò sempre su quella terrazza,
la nostra terrazza,
sospesa tra il nulla e il chissà dove,
e se vorrai trovarmi, perché solo tu potrai farlo
lascia che sia il vento a portatrici
…
io me ne starò lì, solo, a suonare il pianoforte,
bello e dannato come ti piace
con la giacca dello smoking sullo schienale,
fusciacca e papillon ben piegati e riposti sulla sedia
borsalino e bastone appoggiati sulla coda del piano
capello lungo, un vedo e non vedo sugl’occhi
barba di tre giorni
camicia bianca aperta
pantalone elegante sostenuto da bretella
scalzo … assolutamente a piedi nudi
calice di franciacorta rosé
riempito per metà
bottiglia nel cestello colmo di ghiaccio
le mie dita sui tasti
i miei occhi su di te
le labbra e le fossette
che s’incontrano in un sorriso
…
E questa musica…